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Se per vincere una guerra bastassero le armi più moderne al mondo, gli Stati Uniti governerebbero un impero planetario in cui gli unici conflitti da registrare sarebbero quelli causati dalle liti condominiali e dal tifo sportivo.

La caduta di Kabul ci spiega invec

FOTO GIAN MICALESSIN

e in modo cristallino che la superiorità tecnologica non ha alcuna importanza in scenari in cui è ancora forte una identità culturale che affonda le radici in millenni di storia, di sangue e di fedeltà tribale. La lezione fu compresa anche dai Sovietici. Riportare le minigonne all’Università di Kabul al seguito di carri armati e bombardieri non aiutò certo Breznev a “modernizzare” l’Afghanistan. In ogni vallata al di fuori della capitale, leader tradizionali e mullah governavano le loro comunità senza curarsi minimamente delle regole imposte dai comunisti, che la popolazione chiamava, comprensibilmente, “i senza Dio”. La tentata imposizione del comunismo provocò una recrudescenza della già nota ostilità dei capi locali contro il potere centrale, un tempo detenuto dal Re, e la nascita di un movimento di resistenza che fu ben presto sostenuto, per evidenti interessi strategici, dagli USA.

Uno dei più illuminati leader della resistenza afghana, il leggendario Ahmad Shah Massoud, da molti analisti descritto come un campione di democrazia e di modernità, non introdusse la Sharia nelle zone controllate dalla sua milizia, ma nemmeno impose regole che fossero eccessivamente in contrasto con la sensibilità comune di un popolo ancora legato alle tradizioni.

Nei suoi villaggi si incontravano donne con il capo appena coperto ma anche quelle afghane nascoste dalla testa ai piedi da quel costume che le faceva assomigliare a dei fantasmi. Massoud era venerato dalla sua gente. L’aveva liberata dai comunisti, l’aveva difesa dai Talebani, l’avrebbe portata, credo, ad affrontare la modernità in un processo graduale che ogni popolo al mondo ha storicamente compiuto. 

Gli Stati Uniti non hanno compreso il complicato marchingegno che è rappresentato dall’AfghanistanHanno pensato che con l’arruolamento e la corruzione di politici afghani cresciuti all’estero avrebbero potuto gestire una polveriera come questo Paese di straordinaria bellezza e di unica spietatezza. Aiutando di fatto il successo finale dei “pazzi di Dio”. 

Nessuno è mai riuscito a governare del tutto l’Afghanistan. Nemmeno i Talebani, portatori di istanze religiose ma anche difensori di interessi pakistani, contro i quali negli anni ‘90 la gente del Panjshir si è battuta eroicamente, senza bisogno dei bombardieri americani. Invece di abbandonare Ahmad Shah Massoud a sé stesso (forse perché troppo indipendente e patriottico per accettare l’ingresso di truppe occidentali nel suo Paese) avrebbero probabilmente dovuto sostenerne la resistenza, che avrebbe alla fine costretto i Talebani del Mullah Omar a scendere a compromessi con l’illuminato tagiko, fedele al Sufismo, la mistica islamica che è l’antidoto alla lapidazione delle donne.

Ma per comprendere questo ci vuole uno sforzo culturale che le classi politiche occidentali, popolate di manager informatici, venditori di armi e spacciatori di gessetti colorati eletti da qualche decina di utenti di una piattaforma internet, non sono in grado di sostenere.

Franco Nerozzi

FOTO: Settembre 1983 nella valle di Jagji. Proprietà di Gian Micalessin